La guerra italo-austriaca by Nicola Labanca Oswald Überegger

La guerra italo-austriaca by Nicola Labanca Oswald Überegger

autore:Nicola, Labanca,Oswald, Überegger [Labanca, Nicola Überegger, Oswald]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, Biblioteca storica
ISBN: 9788815320698
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2014-10-14T22:00:00+00:00


Ma ciò non mise certo fine ai tentativi: la guerra lasciava spazi di manovra per l’individuo, che Gibelli individua in particolare nell’acquisizione e nell’affinamento di conoscenze e prassi (la scrittura, il funzionamento dell’apparato burocratico, il sapere medico) utili al soldato per tentare di sfuggire alla guerra, o renderla meno dolorosa. Lo stesso Gibelli ha posto più volte l’accento sulla discontinuità sensoriale e valoriale che caratterizzava il nuovo mondo di guerra, un fattore che può aiutare a spiegare la percepita inutilità della ribellione. Il fatto che molte delle diserzioni siano avvenute in occasione delle licenze – quando cioè l’universo di guerra diventava permeabile e si avvicinavano la famiglia, il fronte interno e il tempo di pace – è un dato che sostiene questa tesi. Anche la forma più estrema e definitiva di fuga, quella attraverso il suicidio, non avveniva in prevalenza al fronte, secondo le riflessioni di Giovanna Procacci, ma a casa, «quando si ricostruiva il rapporto con la realtà». La stessa studiosa ha messo in luce come un altro elemento, quello delle dinamiche del piccolo gruppo combattente, spesso portato dalla storiografia internazionale, soprattutto anglosassone, a spiegazione della tenuta degli eserciti, non possa avere una lettura univoca. Lo spirito di corpo e le reti di solidarietà creatisi al fronte spinsero di certo i soldati italiani a legami prima impensabili e giustificarono sia atti che potevano essere considerati eroici e letti in chiave patriottica sia la «semplice», quotidiana, resistenza al fuoco di una guerra totale. È evidente che i legami creati in trincea potevano agire sia in linea con le aspettative dell’esercito (la difesa strenua di una posizione per non lasciare i propri compagni, la partecipazione a un attacco per non essere da meno, l’accettazione supina degli ordini per non esporre i propri commilitoni a sanzioni disciplinari...) sia contro di esse: la scelta di darsi prigionieri, di «scampare la guerra», o addirittura di ribellarsi.

Lucio Fabi ha suggerito, riprendendo Tony Ashworth, che le condizioni specifiche del combattimento di trincea (i lunghi tempi vuoti di contro a brevi momenti di intenso pericolo) e delle pratiche dei soldati (il «vivi e lascia vivere», la fraternizzazione) abbiano reso la guerra sopportabile e, per quanto a malincuore, sopportata. La percezione del fatto che salvarsi individualmente era possibile, forse persino probabile, con una «buona ferita» o con la fortuna è un elemento fondamentale nella comprensione del perché un esercito non motivato abbia tenuto il fronte senza ribellioni collettive. La guerra, anche quella di massa, continuò a essere vista anche in una dimensione personale, un evento che lasciava spazio all’iniziativa individuale, all’intelligenza, all’esperienza, alla costanza e al coraggio: qualità che potevano essere applicate non solo contro il nemico ma anche nel tentativo di evitare i compiti più pericolosi, di autoferirsi e di disertare[29].

È evidente che, così visto, si compone un quadro ben diverso dall’automatica passività descritta da Gemelli. La «competizione» dei soldati con la classe medica sulla simulazione, le strategie in continua evoluzione per assicurarsi il successo di una supplica, per darsi prigionieri o per evitare il pericolo, erano



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